26 Gennaio 2016

Una vita

3 minuti di lettura
Articolo di Associazione Archivio Storico Olivetti

26 gennaio e 1 febbraio 2016

Liceo Artistico Felice Faccio di Castellamonte
tratto da Ricordi della casa dei morti di Luciana Nissim Momigliano a cura di Pamela Guglielmetti con il patrocinio di Associazione Archivio Storico Olivetti La matrice del testo è una relazione scritta subito dopo il ritorno dell'autrice dal campo di sterminio di Auschwitz – Birkenau, che viene pubblicata dall'editore Ramella nel 1946. Il testo viene poi ripubblicato in L'ascolto rispettoso da Cortina (2003), a cura di Andreina Robutti, con il titolo Auschwitz, e infine nel volume Ricordi della casa dei morti e altri scritti (Giuntina, 2008) a cura di Alessandra Chiappano. "La resa scenica di questi scritti è un viaggio che inizia sul vagone di un treno, attraversa la perdita della libertà, dell'individualità, dell'indipendenza, dell'umanità, del coraggio e si conclude con una velata luce di speranza" (Pamela Guglielmetti). Luciana Nissim nasce a Biella nel 1919 da famiglia ebraica. Dopo gli studi liceali si iscrive a Medicina a Torino. Di intelligenza brillante, è avanti di un anno negli studi: perciò, quando vengono emanate le leggi razziali che vietano agli ebrei l'iscrizione all'Università, ha la possibilità di continuare gli studi. A pochi mesi dalla laurea, nel dicembre 1943, viene arrestata in Val d'Aosta insieme con gli amici con i quali si proponeva di costituire una banda partigiana. Imprigionata nel campo di Fossoli vicino a Carpi, all'arrivo dei tedeschi viene deportata a Auschwitz-Birkenau con un trasporto di circa seicento persone. Ne torneranno poco più di dieci. Nell'atroce viaggio ha per compagni sul vagone piombato gli amici più cari: Primo Levi, Vanda Maestro, Franco Sacerdoti. Sopravviveranno solo Luciana e Primo. A fine agosto 1944, Luciana ha la possibilità di lasciare Auschwitz per fare il medico in un sottocampo di Buchenwald. Dopo la liberazione, nell'aprile 1945, rimane per un poco in Germania come medico in un ospedale e ritorna a casa a fine agosto. Sposa Franco Momigliano, allievo di Einaudi, e si trasferisce con lui a Ivrea: entrambi lavorano all'Olivetti, dove Luciana diventa direttrice dell'asilo per i dipendenti e poi dei servizi sociali. Nel 1960 nasce il figlio Alberto. Intanto Luciana, che è pediatra, si è iscritta a Psichiatria - la coppia si è trasferita a Milano- e si specializza nel 1959. Ha già incominciato la sua analisi personale con Franco Fornari, successivamente farà un'analisi di training con Cesare Musatti. Luciana Nissim è tra gli analisti che più contribuiscono negli anni Sessanta e Settanta a diffondere il pensiero di Melanie Klein nella Società Psicoanalitica Italiana e nella comunità psicoanalitica. La Nissim diventa una delle figure più influenti nella psicoanalisi italiana e, come analista di training, forma una generazione di analisti. La sua libertà di pensiero la porta a un rinnovamento: nei decenni successivi, fino alla sua scomparsa nel 1998, Luciana segna una svolta decisiva al modo di concepire l'assetto mentale dell'analista in seduta che influenzerà molti colleghi. Prende le distanze dal kleinismo ortodosso, infatti, e formula un approccio originale, con cui innesta sul ceppo kleiniano degli apporti di Bion di Bleger e di Langs. Si tratta "dell'ascolto rispettoso". Luciana muove dalla definizione in analisi di uno "spazio per l'altro" e riconosce nella capacità di immedesimazione uno degli strumenti di base dell'analista. Sono gli speciali momenti di contatto o apertura emotiva dell'analista che rendono possibile la "vicinanza" (closeness) con il paziente. Negli ultimi anni, il lavoro della Nissim è dedicato alla comprensione dei fattori che facilitano od ostacolano la comunicazione nel dialogo analitico (e non più processo). Questo implica la proposta di una "disponibilità (dell'analista) a cogliere e ad accogliere i sentimenti del paziente, mettendosi nell'assetto mentale necessario per poter arrivare ad ascoltarne l'angoscia, lo sconforto, la disperazione" (da L'esperienza condivisa, 1992). Come non avvertire in questa posizione la presenza di una tensione etica che dà senso alla relazione con l'altro, come quella che aveva enunciato al ritorno dal campo di sterminio? "Non si esce da un'esperienza come questa, senza il retaggio di precisi doveri verso se stessi e verso gli altri" (da una lettera di Luciana Nissim a Franco Momigliano del 14 agosto 1945). Pamela Guglielmetti è attrice, coreografa, regista, sceneggiatrice. Dal 2004 collabora con l'Associazione Archivio Storico Olivetti. Nel settembre 2008 interpreta (con Oliviero Corbetta) i testi presentati all'Auditorium Mozart di Ivrea in occasione dell'Anno europeo del dialogo interculturale. Recentemente ha ideato, sceneggiato e messo in scena due rappresentazioni incentrate su personalità che hanno avuto un ruolo di rilievo nella realtà dell'Olivetti: Una vita, trasposizione scenica delle memorie dal lager di Luciana Nissim Momigliano, e Il velo grigio della Polvere, tratto dal romanzo Cinquecento quintali di sale di Renzo Zorzi. Il suo lavoro si inserisce nel genere teatrale della sensibilizzazione e dell'informazione a partire dall'evocazione di esperienze del passato che interrogano il nostro presente e il nostro futuro.
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